Crioconservazione ovocitaria per ragioni non mediche.

Pubblicato il: 28 Gennaio 2020

Se ne è parlato recentemente durante il Congresso dell’Associazione dei Centri di studio e conservazione ovociti e sperma occasione anche per parlare della campagna al momento giusto

Quando si parla di crioconservazione ovocitaria si pensa subito a un trattamento al quale sottoporsi in presenza di terapie che minacciano la fertilità femminile, come ad esempio quelle oncologiche.
La tecnica, in effetti, prevede che la donna si sottoponga a stimolazione ovarica per aumentare la produzione di follicoli, e quindi di ovociti.
Gli ovuli maturi vengono congelati tramite tecnica di vitrificazione e conservati presso la banca autorizzata nel Centro prescelto.
Qualora la donna decida di intraprendere una gravidanza, si procede allo scongelamento di un numero congruo di ovociti crioconservati e al processo di fertilizzazione mediante una tecnica di PMA.
I tassi di successo dipendono dal numero di ovociti congelati, ma soprattutto dall’età della donna al momento del congelamento.

L’Italia è fanalino di coda in Europa per tassi di natalità, con un significativo innalzamento dell’età della prima gravidanza che, in media, avviene a 32 anni.

L’età biologica resta, per la donna, il fattore che più di qualunque altro incide sia sulla fertilità spontanea, sia sui risultati delle tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA).
Il picco di fertilità si registra tra i 20 e i 30 anni, per poi diminuire tra i 35 e i 40, e quasi azzerarsi tra i 45 e i 50 anni.

Con il passare degli anni, infatti, si riduce la cosiddetta riserva ovarica, ovvero il numero di follicoli contenuti all’interno dell’ovaio e, contestualmente, diminuisce anche la percentuale di ovociti geneticamente normali presenti all’interno dei follicoli.
Già a 30 anni, circa un terzo di tutti gli ovociti risulta geneticamente anomalo, presenta cioè un’anomalia cromosomica.
Non tutti gli ovociti, quindi, saranno in grado di dare una gravidanza.
In una donna di 40 anni, è probabile che più della metà degli ovociti presenti delle anomalie, fatto che riduce la fertilità e aumenta il rischio di abortività e di malformazioni genetiche del bambino.
Ad oggi, non è possibile valutare la qualità genetica degli ovuli. L’età della donna è l’unico indicatore da cui è possibile dedurre la percentuale di ovociti sani. Avere un ciclo mestruale regolare non è indicativo di una buona riserva ovarica. è possibile, tuttavia, valutare il patrimonio follicolare con un semplice esame del sangue che misura l’ormone anti-mulleriano (AMH).

«Questo test – chiarisce Marco Filicori, presidente di Cecos Italia, l’Associazione dei Centri di studio e conservazione ovociti e sperma – si rivela molto utile per identificare le donne più a rischio di menopausa precoce e intervenire con una strategia appropriata, ad esempio optando per il congelamento degli ovociti da utilizzare in futuro, quando la donna avrà trovato un partner o raggiunto una stabilità economica».

«Il social freezing è la tecnica di congelamento di ovociti a proprio beneficio futuro, un’opportunità offerta dalla medicina della riproduzione alle donne che scelgono di posticipare la gravidanza, nella maggior parte dei casi in attesa di un partner con cui mettere su famiglia. La procedura prevede che la donna si sottoponga ad una stimolazione ormonale, tecnicamente stimolazione ovarica, della durata di circa due settimane, al fine di aumentare il più possibile la produzione di follicoli. Al termine delle due settimane, viene effettuato il prelievo del liquido follicolare dei follicoli contenente gli ovociti- spiega ancora il professor Filicori che aggiunge anche- Gli ovuli maturi vengono congelati tramite tecnica di vitrificazione e conservati presso il centro di PMA, dove possono resistere anche per molti anni. Nel caso in cui il numero di ovociti ottenuti con la stimolazione ovarica non sia sufficiente, è possibile ripetere la stimolazione in modo di averne a disposizione un numero adeguato. Qualora la donna decidesse di non utilizzare gli ovociti congelati, ad esempio perché riesce a rimanere incinta naturalmente, gli ovuli potranno essere distrutti».

Tutto facile, dunque?

Non proprio come tiene a specificare ancora l’esperto: « Se in una donna di 40 anni vengono utilizzati gli ovuli di quando ne aveva 20, le probabilità di rimanere incinta sono quasi le stesse di una donna di 20 anni, fermo restando che la gravidanza potrebbe essere più rischiosa. Come suggerito anche dalle linee guida delle società scientifiche internazionali, sarebbe quindi opportuno decidere per il social freezing entro i 30, massimo 35 anni, così da avere maggiori probabilità di ottenere una gravidanza e portarla a termine con successo – spiega Filicori –. Il problema è che, molto spesso, la richiesta di sottoporsi a questa tecnica arriva da donne che hanno 40 anni e oltre, per le quali congelare gli ovociti può rivelarsi di scarsa utilità a causa della bassa qualità genetica degli stessi».

Di questo tema se ne parla ancora molto poco nel Nostro Paese.

Alcuni mesi fa, tuttavia, un’azienda specializzata nell’area ginecologica, ha lanciato la campagna informativa »Il Momento Giusto», che si pone proprio l’obiettivo di sensibilizzare le giovani in merito alla loro fertilità e alla possibilità di preservarla tramite crioconservazione ovocitaria.

Altro scoglio è rappresentato dai costi della procedura, attualmente totalmente a carico della donna. Al contrario, in presenza di un’indicazione medica, il SSN garantisce la copertura per queste pazienti, ma va detto che si tratta di piccoli numeri. Solo due Regioni, infine, –Trentino Alto Adige e Toscana, prevedono l’esenzione dal pagamento per social freezing, a favore delle donne che decidono di donare parte dei propri ovociti.